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Una nuova vita in campagna con un marito, un numero variabile di gatti e un cane con un solo neurone. La passione per la musica classica e per i borghi medievali, per la spiritualità dei Nativi Americani e per i misteri irrisolti, per le autoproduzioni e il vivere consapevole. Questa è la mia vita. Queste sono le mie storie.

giovedì 3 novembre 2016

Requiem per un terreno incolto


Per più di quattordici anni è stata la mia vista dalla finestra della camera, la prima cosa che vedevo al mattino e l'ultima che vedevo alla sera prima di chiudere le persiane. Quando sono venuta ad abitare non c'erano ancora i lampioni lungo le strade, e nelle sere d'estate si vedevano volare le lucciole. Poi sono arrivati i lampioni e le lucciole sono scappate verso la campagna, ma ormai non si vedono quasi più neanche lì.
Il campo davanti a casa non era niente, solo un lotto edificabile dimenticato e abbandonato con un cartello sbilenco con su scritto "Vendesi area edificabile". Di tanto in tanto qualcuno veniva e cambiava il cartello, sostituendolo con uno più nuovo con un diverso numero di telefono, poi il mondo tornava a dimenticarsi di lui.
Ogni estate ci cresceva una straordinaria collezione di erbacce di ogni tipo che erano tana e rifugio per molti degli animali del villaggio. I gatti amavano nascondersi in quell'intrico, per sonnecchiare o cacciare topini di campagna. I cani trovavano un posto morbido e fresco dove riposare. I vecchi ci entravano a cercare lumache e cicorie. Nelle sere più calde era bello passeggiare lì vicino e sentire il fresco dell'erba che scacciava il caldo dell'asfalto. Nei giorni di neve era un piacere per il cuore vedere il mio cane correre felice in quella vastità bianca.
Tutto questo adesso non c'è più. Una mattina è arrivato un caterpillar che ha spianato tutto, ferendo a morte la terra e le piante che ci vivevano, e di quel piccolo mondo verde è rimasta solo un quadrato di terriccio riarso e muto. Ci costruiranno delle villette. Verranno uomini, donne, bambini e automobili. Ci faranno piccoli giardini uguali a tutti gli altri piccoli giardini del vicinato, con le stesse piante e le stesse lanterne a illuminare gli stessi vialetti. Metteranno anche loro una piscina e un barbecue e faranno le ore piccole con gli amici.
Quel piccolo frammento di verde e di quiete che eravamo riusciti a conservare dai giorni del nostro arrivo qui, quando il villaggio residenziale dove abitiamo era grande un terzo di quello che è adesso, sparirà nel nulla, e noi dovremmo fare ancora più strada per trovare altri frammenti di verde e di quiete.
Era solo un campo incolto. Ma da oggi sarò un pochino più triste quando aprirò le persiane al mattino e le chiuderò alla sera.

venerdì 3 giugno 2016

Brioche al farro morbidissime con milk roux

...milk roux, chi è costui? Conosciuto anche come tang zhong, è uno starter o un lievitino, chiamatelo come volete: essenzialmente è un composto di latte (o acqua) e farina che viene reso gelatinoso tramite la cottura. Una volta raffreddato viene aggiunto all'impasto e garantisce un prodotto finale estremamente morbido e soffice. La variante con il latte è adatta ai lievitati dolci o per preparare i panini al latte, mentre quella con l'acqua è perfetta per i salati.

Sia nella versione con il latte, che in quella con l'acqua, la proporzione fra farina e liquidi è sempre di 5:1, cioè calcolate 1 parte di farina e 5 di acqua o latte. Anche il procedimento per preparare il tang zhong è la medesima. In un pentolino bisogna sciogliere molto bene la farina nel liquido usando una frusta per non fare grumi, poi si mette sul fuoco medio-basso e si cuoce mescoldando di continuo finchè il composto non assume un aspetto lucido e gelatinoso. A quel punto si toglie il pentolino dal fuoco e si fa raffreddare.

Come ho detto si può usare il tang zhong sia per i lievitati dolci che per quelli salati, tenendo sempre a mente che il composto non deve essere conteggiato nel totale degli ingredienti, ma va aggiunto come se fosse anch'esso un ingrediente.



Il mio primo esperimento è stato la preparazione di brioche al farro con semi misti, e il risultato è stato eccezionale... davvero non credevo che potessero venire così morbide! Ecco cosa vi serve:

Per il milk roux:
125 ml latte
25 g farina

Per l'impasto:
200 g farina frumento (meglio integrale o tipo 2)
400 g farina farro
15 g lievito di birra
70 g miele
130 g zucchero
3 cucchiai di semi misti (girasole, lino, papavero, sesamo) tritati grossolanamente
200 ml circa di latte (anche vegetale)
1 uovo + 1 tuorlo per spennellare
100 g olio di semi girasole bio

Cominciate con lo sciogliere il lievito nel latte intiepidito, con un cucchiaino di zucchero per attivare il lievito medesimo. Lasciate riposare per circa 15 minuti e nel frattempo preparate il milk roux come spiegato sopra.
Mettete in una ciotola piuttosto ampia le farine, l'uovo, il miele, lo zucchero, i semi e l'olio, poi aggiungete il latte con il lievito e da ultimo il milk roux. Mescolate bene, usando anche uno sbattitore o la planetaria se l'avete: l'impasto risulta molto morbido e appiccicoso e col cucchiaio di legno potrebbe essere faticoso. Fate riposare un'ora in un luogo tiepido coperto da un canovaccio.
Trascorso questo tempo, prendete l'impasto un pò alla volta, mettetelo su un piano infarinato, tirate una sfoglia abbastanza spessa con il mattarello e tagliatela in tanti triangoli. Arrotolateli a partire dal lato più corto e formate le brioche. Mettetele sulla placca del forno ricoperta di carta da forno e fatele lievitare per circa 3 ore, sempre coperti da un canovaccio.
Accendete il forno a 180°C e intanto che si scalda spennellate le brioche con il tuorlo. Cuocetele per 15 minuti circa, finchè non saranno dorate.

Il risultato è stato eccezionale, oltre ogni mia aspettativa, e a questo punto sono curiosa di provare il tang zhong anche con altre ricette di lievitati. Stay tuned!

domenica 1 maggio 2016

Ho pulito i pannelli solari!



Il nostro impianto è su dal 2013 e non abbiamo mai fatto una pulizia dei pannelli.
A dire il vero a suo tempo l'installatore ci aveva detto che tutto sommato per un piccolo impianto domestico come il nostro non è necessario farlo. In un villaggio residenziale come quello dove abitiamo, seppure a ridosso dell'aperta campagna vicino ai campi coltivati, di gran sporco non se ne fa. C'è solo la normale polvere che si deposita su tutto, e basta una pioggia a lavarla via. Il problema però è proprio questo: non piove quasi più, e quando lo fa spesso piove sabbia; in più le rare volte che nevica rimane sempre uno strato di sporcizia, quando alla fine la neve si scioglie, quindi dopo tre anni i pannelli erano veramente luridi. L'occhio inevitabilmente mi cadeva lì ogni volta che tornavo a casa, e ad essere sincera mi rompeva molto le scatole. E poi, dei pannelli così sporchi potevano causare una diminuzione della produzione? E nel caso, come pulirli?
Ho cominciato a informarmi confrontando le informazioni trovate in internet e ho capito che sì, ovviamente c'è una perdita rispetto ai pannelli perfettamente puliti. Il quanto dipende da tante variabili: la posizione dell'impianto, il tipo di pannelli, il numero di ore di sole nell'anno e infiniti altri. Si possono fare delle stime, e nel nostro caso per un impianto domestico di 3 KWp piazzato nel bel mezzo della Pianura Padana la perdita si aggira attorno ai 30-50 euro all'anno... non certo una cifra da strapparsi i capelli. Chiaramente più l'impianto è grande, più la perdita aumenta, così come se l'impianto è al sud. Ed è altrettanto ovvio che se i pannelli sono sporcati anche da escrementi di uccelli o foglie, o da altri residui (salsedine al mare, polveri provenienti da scarichi industriali se si abita vicino a fabbriche o autostrade) le perdite saranno maggiori, e quindi la pulizia è indispensabile.

Con questi dati in mano mi sono messa a cercare informazioni sul costo del servizio di pulizia dei pannelli offerto dalle ditte della zona, e ho subito capito che non ne valeva la pena. Per un piccolo impianto il costo si aggira sui 100 euro, ma solo se i pannelli sono facilmente raggiungibili, ad esempio se sono su un terrazzo condominiale o se c'è un accesso diretto al tetto nel caso di una villetta. Altrimenti a quel prezzo bisogna aggiungere il costo del noleggio di un cestello per arrivare al tetto, e si arriva a spendere fino a 200 euro. Anche nell'ipotesi più ottimistica, spendere 100 per risparmiare 50 mi sembrava comunque scemo, così ho deciso: salgo sul tetto e faccio da me! Dopotutto vado già su a liberare i pannelli dalla neve, le rare volte in cui nevica, e pulire i pannelli non doveva essere tanto diverso.

Mi sono armata di una scopa morbida, di un bastone estensibile e di vari secchi d'acqua che mi passava il mio maritone dalla finestra del bagno, e ho cominciato. Lo sporco è venuto via facilmente, più di quanto immaginassi, e alla fine mi ci è voluta solo una mezz'ora abbondante per avere i pannelli di nuovo pulitissimi. Tra l'altro il pannello si è asciugato quasi all'istante senza lasciare residui, quindi non mi sono neanche dovuta porre il problema di asciugarli. Nel caso avevo già pronto lo spazzolone con il tessuto in microfibra, questo per intendersi...




Ovviamente a quel punto ero curiosissima di sapere se i pannelli puliti producevano di più di quelli sporchi, così dopo essere rientrata in casa ero andata subito a vedere il grafico della produzione. Beh, la variazione era nulla, non c'era il minimo segno dell'avvenuta pulizia come invece, ad esempio, succede quando pulisco i pannelli dalla neve, ma comunque non mi importava. La soddisfazione di vedere i pannelli puliti era superiore a tutto! Visto il risultato, e visto l'impegno decisamente ridotto, ho deciso di fare la pulizia un paio di volte all'anno, tipo alla fine dell'estate e alla fine dell'inverno.

E' forse inutile dire che ho fatto quello che ho fatto perché:
1 - non soffro di vertigini e posso salire sul tetto senza problemi dalla finestra del bagno.
2 - posso lavorare sul tetto in sicurezza.
Le mie falde non sono ripide, per gran parte del 'tragitto' mi posso appoggiare all'abbaino del bagno o al palo dell'antenna, e per pulire i pannelli lavoro a cavallo del colmo del tetto, un piede di qua e uno di là. Uso sempre calzature morbide con la suola di gomma ben scolpita che aderiscono ai coppi che è una meraviglia, e soprattutto non sono mai esposta sul vuoto. Diversamente, mi sarei per forza rassegnata al salasso della ditta specializzata

Comunque, un altro modo semplice di pulire i pannelli, nel caso ad esempio di una villetta ad un solo piano o di un impianto installato su una tettoia, è di appoggiare una scala al tetto e pulire i pannelli con una di quelle spazzole o scope che si attaccano al tubo dell'acqua. Per arrivare a 3-4 metri del punto di massima altezza dovrebbe bastare la normale pressione dell'acqua di acquedotto; in caso contrario si può usare un'idropulitrice o un compressore per aumentare la pressione.

Insomma, il concetto è che, con un po' di criterio, la pulizia fai da te dei piccoli impianti di pannelli solari fotovoltaici e termici...
 E i 150 euro che avete risparmiato (100 della pulizia e 50 di riguadagnata produzione) potete impegnarli in modo migliore!

lunedì 18 aprile 2016

La Walkerona - sbrisolona di Walkers

Sabato mi serviva un dolcetto da portare allo stadio del rugby per il Terzo Tempo con gli amici, e visto che non avevo molto tempo per spadellare, e soprattutto mi sentivo in vena di esperimenti, ho inventato la "Walkerona", la sbrisolona di Walkers! A dire il vero l'idea mi frullava in testa già da un po', ma non avevo ancora avuto occasione di provarla. E dopo avere visto le espressioni di pura beatitudine sui volti dei nostri amici mentre assaggiavano la mia ultima creazione, direi che l'esperimento è perfettamente riuscito!




Gli ingredienti sono gli stessi della ricetta dei Walkers che trovate qui

300 g di farina tipo 2 (o tipo 0)
150 g di burro
150 g di zucchero di canna
1/2 cucchiaino di sale fino
1/2 cucchiaino di bicarbonato

Accendete il forno a 170°C. Fate sciogliere il burro in un pentolino a fuoco lento, poi fate raffreddare fin quando non inizia a raffreddarsi. Unite tutti gli ingredienti in una ciotola e mescolate velocemente con le mani per non far scaldare troppo il burro. L'impasto deve risultare sbricioloso, se ci sono pezzi più grossi vanno frantumati con le dita. Spolverate di farina una teglia rotonda e versate le briciole di frolla, livellandole poi con le mani. La Walkerona, al pari della sua cugina sbrisolona, deve essere sottile, circa 2-3 cm di altezza, quindi se la vostra teglia è piccola cuocetela in due volte o dividete l'impasto in due teglie.
Cuocete 30 minuti a 170°C, poi senza togliere la teglia dal forno alzate la temperatura a 220°C per 5 minuti. Trascorso questo tempo, spegnete il forno e lasciatela dentro altri 2-3 minuti prima di sfornare. Tenete comunque controllata la cottura in questa fase: la Walkerona deve prendere un bel colore dorato, ma non deve bruciare, nel caso riducete il tempo di cottura di un paio di minuti.
Lasciate raffreddare la Walkerona dentro la teglia, e una volta fredda basta rivoltare la teglia per estrarre la torta.
La Walkerona è fantastica da mangiare anche da sola, ma si accompagna benissimo con della crema pasticcera, con il tè delle cinque o con un bicchierino di whisky (scozzese naturalmente, possibilmente single malt e con gusto torbato). Provatela anche bagnata con un pochino di grappa, vi sorprenderà!

venerdì 8 aprile 2016

L'amico di una sera




Mi ci sono imbattuta ieri mentre portavo a passeggio il cane nel suo prato preferito (che in realtà è un lotto edificabile abbandonato dove nel frattempo sta crescendo un boschetto di acacie e una giungla di rovi). Avevo visto Rex, uno dei cani del vicinato, che continuava a infilare il naso in un cespuglione che lentamente sta inglobando un albero rinsecchito, e conoscendo la sua propensione a tormentare animaletti più piccoli di lui ero andata anch'io a ficcare il naso nel cespuglione. Sulle prime non vedevo un accidente, solo rametti e terriccio, e non capivo cosa stesse attirando tanto l'attenzione di Rex. Poi ho visto che allungava una zampa come a voler far rotolare qualcosa, e quel qualcosa era una palla spinosa... un riccio! Il mio primo riccio! ...un riccio vivo intendo, visto che fino a ieri li avevo visti soltanto spiaccicati sull'asfalto dopo essere stati investiti.
Nel frattempo si era unito alla caccia anche un altro cane, e anche la mia Penny non si è fatta mancare una zampata alla povera bestiola, così sono tornata a casa, ho preso un paio di guanti spessi e ho tirato via il riccio da quel guaio.
Non avevo nessuna intenzione di tenerlo (come tutti gli animali selvatici, i ricci sono protetti ed è vietato - oltre che immorale - detenerli), volevo solo aspettare che Rex si trovasse qualcos'altro da fare e col buio lo avrei riportato nel cespuglione. E così ho fatto, non senza prima avergli scattato un paio di foto, in una delle quali la bestiola mi ha anche regalato una visione del suo nasino!

L'occasione è stata comunque buona per cercare qualche informazione su come comportarsi nel caso si trovasse un riccio, e questo è quello che ho imparato:

Vanno soccorsi tutti i ricci che in settembre/ottobre non hanno raggiunto il peso minimo sufficiente per superare il letargo, cioè 500/600 g. Se la bestiola non ha un'adeguata riserve di grasso da bruciare durante l'inverno rischia di morire nel sonno, oppure continuerà a vagare alla ricerca di cibo che non potrà trovare e morirà di stenti. (il "mio" riccio trovatello pesava quasi sei etti, quindi nessun problema da questo punto di vista)

Vanno inoltre raccolti i ricci feriti o malati (un riccio sta male quando si corica su un fianco, barcolla, trascina le zampe posteriori o comunque fatica a muoversi), quelli troppo piccoli oppure quelli che si trovano in una situazione di pericolo, ad esempio perché sono vicini a pozzi, pozzetti, tombini, strade trafficate, piscine, trappole  per  topi,  cantieri  di  lavoro. In questo caso basta allontanarli di 50-100 metri dalla situazione di pericolo, e se possibile cercare di eliminare gli elementi potenzialmente pericolosi (ad esempio chiudendo tombini e pozzetti).
 
Se il soccorso viene effettuato nel  periodo che va da fine aprile a fine settembre bisogna porre particolare attenzione perché potrebbe trattarsi di una mamma che sta allattando. Controllate che nelle vicinanze non ci sia una cucciolata nascosta tra i cespugli in attesa di mamma riccia. Nel caso, raccogliere con un paio di guanti i piccoli, sistemarli in una scatola con una borsa di acqua calda e portarli il più presto possibile in un centro di recupero per animali selvatici (CRAS). E' importantissimo tenere i piccoli separati dalla madre, che spaventata potrebbe non riconoscerli e ucciderli. Se l'intervento viene fatto solo per allontanare un riccio da una situazione di pericolo, limitarsi a spostare l'adulto senza toccare i cuccioli.

I ricci feriti o malati non devono mai essere alimentati, poiché non conoscendo le loro condizioni si potrebbe aggravare una situazione già precaria. Quando però si trovano ricci orfani con peso inferiore a 150 g è necessario intervenire tempestivamente in attesa di portarlo in un CRAS. La bestiola va messa in una scatola con una borsa dell'acqua calda, e va idratata e nutrita per evitare l'ipoglicemia. Esiste un latte speciale che si chiama ESBILAC, ma in emergenza si può utilizzare una tisana al finocchio o latte di capra. I liquidi vanno somministrati tiepidi con una siringa senza ago, circa ogni 3 ore. Dopo ogni poppata, come per i gattini orfani, bisogna effettuare un massaggio in zona anale per stimolare l'evacuazione. A questo fine, si può usare olio di mandorle o di oliva, per evitare irritazioni.

NON DARE MAI AI RICCI latte vaccino o derivati del latte come latte per bambini o per gatti, e nemmeno frutta secca. I ricci sono carnivori, se proprio dovete dargli da mangiare va benissimo il cibo per gatti, sia secco che umido. In ogni caso è meglio evitare il fai da te. Dopo il primo contatto con l'animale affidatevi ad un veterinario o a un CRAS, oppure chiamate il Corpo Forestale dello Stato. Qui ci sono i link...


Elenco CRAS
Corpo Forestale

Se invece i ricci sono visitatori abituali del vostro giardino, lasciategli a disposizione un angolino ricco di rametti e foglie, che gli servono per costruire il nido, dove poter riposare al sicuro durante il giorno o per le mamme riccio per poter partorire; orti e giardini rigorosamente puliti ed in ordine, sono poco funzionali per i ricci.


Non utilizzare mai, in orti e giardini, lumachicidi o diserbanti (ma questo vale in linea generale. Questi prodotti, oltre ad essere nocivi per l'ambiente, sono velenosi e potenzialmente letali anche per cani e gatti, specialmente il lumachicida in granuli: pochi grammi uccidono un gatto in meno di mezz'ora). In un giardino con abbondanza di piante, i danni delle lumache agli ortaggi sono limitati. Se proprio avvertite la necessità di combatterle, spargete della cenere di legna attorno all'orto o usare il metodo del piattino di birra (che cosa crudele... Io non le combatto in alcun modo, anzi mi porto a casa tutte quelle che trovo in giro!)

In estate, ogni sera, mettere sempre acqua fresca in una ciotola bassa, fuori dalla porta o nell'orto. Eventualmente potete dargli qualche croccantino per gatti, ma se il vostro giardino è ricco di vita la bestiola troverà facilmente del nutrimento. I ricci mangiano insetti, lumache, lombrichi, larve... insomma un riccio in giardino è meglio di qualunque antiparassitario.


Messa così viene quasi voglia di portarsene uno a casa!  Ricordo che è vietato farlo, ma nulla ci vieta, se abbiamo un giardino, di creare le condizioni perché qualche riccio vi trovi dimora. Magari un giardino un pò selvatico farà storcere il naso ai puristi del prato all'inglese, ma ci permetterà di godere della compagnia di tanti piccoli animali. 

 

giovedì 31 marzo 2016

Esperimenti non riusciti - Lo smoothie

Ogni volta che vado a fare spese di frutta e verdura al negozio del paese finisco sempre per tornare a casa con l'auto che strabocca di borsine e cassette cariche di ogni ben di Dio, specialmente quando vado solo per comprare poche cose, tipo un chilo di patate per il pranzo e due limoni per la tisana della sera. Colpa di Martino, che sicuramente non si chiama così visto che è indiano, ma poco importa: è semplicemente il commesso più bravo della storia del commercio mondiale, sin dalla prima volta in cui due cavernicoli si sono scambiati tre conchiglie e una punta di lancia per un cosciotto di cinghiale appena cacciato.
Resistergli è impossibile: ti guarda con sguardo innocente, ti sorride e ti dice "ma come, solo patate e limoni? Dai, prendi anche zucchine, che ti faccio prezzo buono." "Sì, vabbè, ma solo due". "Ma no solo due. Se prendi tutta cassetta faccio prezzo ancora più buono." E io lo so che dovrei resistere, perché ci sono già passata e so che poi mi faccio ingolosire dal prezzo che è veramente più che buono, e torno a casa con 10, 15 chili di roba e poi mi tocca passare una settimana a lavare, mondare, affettare, cuocere... e poi dove cavolo la metto tutta quella roba, che il freezer è già pieno? Ma non ce la faccio, perché avere il freezer che strabocca rassicura il fantasma della me che in passato è stata povera, e quindi sì, prendo la cassetta delle zucchine, e anche i cavoli, e le mele, e tutto quello che passa per le mani di Martino. Il conto, alla fine, è sempre vergognosamente basso per quello che porto a casa, ma non contento Martino aggiunge anche sempre qualcosina per fare cifra tonda. Ed è stato così che dopo una delle ultime spese mi sono ritrovata in casa cinque cetrioli. Li mangio solo io, e pure senza esagerare perché dopo un po' mi rimangono sullo stomaco, così mi sono detta "e adesso che ci faccio con 'sti cetrioli?"
........
...ideona: lo smoothie!


Era da tanto che volevo provarli. Dappertutto martellano che fanno tanto bene e sono buonissimi, quindi mi sono messa in caccia di ricette e ne ho trovata una che prometteva di sgonfiare il corpo e depurare la pelle... meglio di così!
Servivano cetrioli, cuori di finocchio, sedano e carota, da mixare e da allungare con acqua e succo di pompelmo. Mi sono subito messa all'opera: ho lavato, mondato, tagliato e mixato, ho aggiunto l'acqua richiesta e un pochino di succo di arancia e limone al posto del pompelmo che non avevo. Poi ho bevuto... il risultato?



L'impressione è stata quella di bere il soffritto o le verdure scondite del minestrone... insomma, una vera zozzeria che ha presto trovato la via della compostiera (ma almeno i lombrichi hanno apprezzato), oltre che una delusione. Magari mettendoci della frutta, come ho visto in altre ricette, le cose migliorano, ma in tutta onestà preferisco mille volte di più i frullati tradizionali fatti con il latte (anche quello di soia) o lo yogurt. E le verdure preferisco mangiarle così come sono o nelle minestre, che son più di soddisfazione!

Comunque per chi volesse provare, queste sono altre ricette che avevo trovato, e che non ho più avuto il coraggio di fare...

2 ciuffi di spinaci, un gambo di sedano, qualche foglia di menta, succo di due lime e mezzo cetriolo. Frullare e allungare con poca acqua e del ghiaccio tritato.

1 mazzetto di spinaci freschi, 1 di prezzemolo, qualche foglia di menta, 2 foglie di lattuga, 2 gambi di sedano, un cetriolo piccolo, un pezzetto di zenzero fresco, succo di limone e un pizzico di pepe. Allungare con acqua fresca e frullare.

2 zucchine, 2 foglie di lattuga, 1 cucchiaino di paprica, un pezzetto di avocado, succo di limone, un pizzico di sale e pepe. Frullare, allungare con acqua e servire accompagnato da una fetta di limone.

5 foglie di cavolo, una pera e una mela, mezza banana, cannella e succo di limone. Frullare aggiungendo un poco di acqua.

3 pomodorini sbollentati e pelati, 1 gambo di sedano, mezza carota, un pezzetto di cetriolo, un pizzico di pepe e uno di aneto, un pezzettino di peperone. Frullare tutto assieme con poca acqua.

1 barbabietola, 1 peperone, il succo di mezzo limone, due gambi di sedano, tre ravanelli e mezzo cetriolo. Frullare tutto assieme con poca acqua.

1 avocado, 1 cetriolo, mezzo porro, 1 ravanello, uno spicchio d’aglio, succo di limone e un pezzettino di zenzero. Frullare e allungare con acqua, con latte di cocco o latte di mandorla.

domenica 28 febbraio 2016

Il nostro mondo è cambiato e certe cose non torneranno più

Una volta telefonavamo infilando il dito in una ruota, dopo aver cercato il numero su un elenco telefonico che cambiava ogni anno, e guai se non riconsegnavi quello vecchio. Ascoltavamo la musica mettendo una cassetta di plastica dentro un walkman grande come un libro tascabile, magari dopo averla riavvolta con una Bic per fare più alla svelta e per risparmiare le pile, che duravano sempre troppo poco. I più fortunati avevano un videoregistratore attaccato a un televisore largo abbastanza da poterci mettere sopra la gondola-souvenir di Venezia, un orologio meccanico con la gallina che becchetta misurando i secondi, e un gatto. Se volevamo fare una foto al gatto dovevamo prendere una macchina fotografica e metterci dentro un rullino nuovo, sperando che nel frattempo non se ne fosse andato o non avesse fatto cadere la gondola e la sveglia.











 

I nostri computer erano grandi quanto i televisori, ed erano pesanti. Quando li accendevi compariva la scritta C:\ su un fondo nero, e per salvare i nostri dati dovevamo infilare in un’apposita fessura degli appositi dischetti contenuti in involucri di plastica. Chi li aveva li esibiva orgoglioso sull’autobus o in metropolitana, sentendosi un eletto, il rappresentante di una casta in grado di dominare le nuove tecnologie, e non si rendeva conto di stare tenendo in mano l’equivalente di un osso di brontosauro.

Quando eravamo fuori casa e avevamo bisogno di telefonare, dovevamo cercare una cabina del telefono. Una volta funzionavano solo con i gettoni, che nella mia memoria valevano sempre 200 lire e a volte te li davano come resto al supermercato. Poi sono diventati più moderni e accettavano qualunque moneta, ma solo dalle 100 lire in su, e al posto della ruota da girare con un dito c’erano dei tasti da premere con lo stesso dito. Più avanti ancora funzionavano anche con delle schede che qualcuno collezionava. Mi chiedo quante siano le persone che hanno ancora i cassetti pieni di questi piccoli oggetti, emblemi di un’inutilità elevata all’ennesima potenza.








Adesso la musica la ascoltiamo con il nostro telefono, che è poco più grande di una di quelle vecchie e inutili schede telefoniche, e volendo fa anche le foto al gatto senza bisogno della pellicola. Il gatto però non sta più sul televisore assieme alla gondola-souvenir di Venezia e alla gallina che becchetta all’infinito, perché il televisore è largo due dita, i souvenir non li compriamo più, e la gallina ha smesso da anni di becchettare. Se vogliamo un ricordo di Venezia ci facciamo un selfie davanti al ponte di Rialto, e per sapere che ore sono basta il telefono.
I nostri computer spesso stanno anch’essi nel telefono, oppure dentro un tablet largo pochi centimetri che si fa funzionare con le dita. Lo schermo del tablet si sporca, ma è comunque di soddisfazione. I nostri dati li salviamo dentro delle chiavette decisamente più sexy dei dischetti quadrati di plastica, e a volte non facciamo neanche questo e li immagazziniamo dentro uno spazio virtuale all’interno di un server che magari sta all’altro capo del mondo.
I più tradizionalisti hanno un computer portatile con la tastiera dove spesso va a dormire il gatto orfano della vecchia televisione. Anche il più piccolo è potente come un condominio di vecchi computer C:\. Una volta richiuso è grande come bloc notes ed è ugualmente apprezzato dal gatto.

Sì, il nostro mondo è decisamente cambiato, e certe cose non torneranno più. E forse è vero che il futuro non è più quello di una volta, quando sognavamo viaggi nello spazio e auto volanti, ma anche così non è poi tanto male…